- Nei suoi vent’anni al potere il presidente ha dato forma a una nuova Turchia attraverso progetti urbanistici spesso faraonici che servivano a imprimere un cambiamento anche sociale al paese
- Tra condoni, leggi non applicate e casi di corruzione, in Turchia alcune grandi aziende legate al presidente hanno continuato a costruire senza tener conto dei rischi sismici né dell’impatto ambientale
- Erdogan era riuscito ad arrivare al potere agli inizi del 2000 anche grazie alle ripercussioni politiche del sisma del 1999, ma adesso lo stesso disastro naturale potrebbe costargli la rielezione
Il terremoto che il 6 febbraio ha colpito il sud est della Turchia è certamente un disastro naturale, ma la devastazione e l’alto numero di morti sono dipesi anche dalle politiche messe in campo negli ultimi decenni dal presidente Recep Tayyip Erdogan.
Infrastrutture faraoniche, progetti approvati senza i dovuti controlli, condoni, scarso interesse per l’ambiente e per le criticità della Turchia hanno caratterizzato gli anni al potere di Erdogan, con le conseguenze a cui si sta adesso assistendo.
Politica ed edilizia
Il leader turco è riuscito ad arrivare alla guida del paese nel 2003 e a mantenere la sua posizione negli ultimi venti anni grazie al sostegno di una classe media conservatrice a lungo esclusa di circoli del potere e che ha trovato nell’edilizia la strada per il successo.
L’arrivo al potere dell’Akp non a caso è coinciso con il triplicarsi dei permessi per la realizzazione di progetti abitativi e con l’apertura di sempre nuovi cantieri in tutto il paese, in particolare nella città di Istanbul. Il boom dell’edilizia sostenuto da Erdogan e dal suo partito serviva da una parte a consolidare e ampliare la base elettorale dell’attuale presidente, ma anche a dare forma a una nuova Turchia.
Nei piani di Erdogan, la trasformazione urbana del paese doveva coincidere con un cambiamento anche a livello sociale, come è effettivamente accaduto. La costruzione di quartieri residenziali protetti da alte cancellate e di grandi centri commerciali, così come l’adeguamento delle città più importanti ai gusti dei ricchi turisti provenienti dal Golfo hanno cambiato profondamente il paese, creando al contempo una nuova classe media conservatrice fedele al presidente.
Ancora più nello specifico, ad aver tratto vantaggio dalle politiche urbanistiche di Erdogan sono state cinque compagnie legate a doppio filo al presidente, note come “la banda dei cinque”. Si tratta della Cengiz Holding di Mehmet Cengiz, della Kalyon Construction di Cemal Kalyoncu, della Kolin Construction di Naci Koloğlu, della Limak Holding di Nihat Özdemir e della Mng Holding di Mehmet Nazif Günal. Inoltre negli ultimi cinque anni, il 50 per cento delle gare d’appalto pubbliche sono state vinte dalle stesse compagnie, facendo sorgere non poche domande sulla trasparenza delle gare indette dal governo e sui legami tra Erdogan e le grandi aziende operanti in Turchia.
La costruzione di una Yeni Türkiye (nuova Turchia) è anche lo specchio del desiderio del presidente di passare alla storia lasciando una traccia il più possibile indelebile dei suoi anni al potere. È anche in quest’ottica che vanno letti i mega progetti realizzati negli ultimi vent’anni a Istanbul, città simbolo della Turchia e laboratorio privilegiato delle politiche edilizie e sociali del presidente.
Qui sono stati costruiti l’aeroporto più grande del paese, il terzo ponte sul Bosforo - anch’esso faraonico - e da anni si discute della realizzazione di un canale che dovrebbe unire il mar di Marmara e il mar Nero. Un progetto quest’ultimo definito “folle” dallo stesso presidente e che avrebbe un impatto ambientale altissimo sul delicato equilibrio dei due mari e sulle falde acquifere di Istanbul.
Condoni e leggi non applicate
Ma le conseguenze sul piano ecologico non sono mai state una preoccupazione per Erdogan e il suo partito, nonostante l’alto rischio sismico della Turchia o la sua vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Eppure proprio la prevenzione di nuove catastrofi come quella che nel 1999 colpì il nord ovest del paese è stata utilizzata per anni come giustificazione per nuovi progetti di trasformazione urbana che hanno invece servito ben altri scopi, a tutto vantaggio di Erdogan e degli imprenditori a lui vicini.
Sempre dal 1999 in poi sono state emanate una serie di norme che avrebbero dovuto rendere più stringenti i criteri per la costruzione in zone a rischio sismico o per la prevenzione di catastrofi, ma queste leggi sono state utilizzate principalmente per mettere le mani su edifici storici da ristrutturare e utilizzare a scopo di lucro, per allontanare dalle zone centrali le classi meno abbienti o per costruire nuovi complessi abitativi nelle aree più periferiche, dando vita a quartieri dormitorio sprovvisti anche di servizi minimi.
A rendere ancora più inefficaci le norme che avrebbero dovuto prevenire la morte di così tante persone nel terremoto di inizio febbraio sono state anche i condoni concessi dal governo, come quello approvato nel 2018 e che ha interessato sei milioni di edifici. Un nuovo condono era al vaglio delle autorità proprio in questi giorni e ben 100 mila domande provenivano dalle città colpite dal terremoto, mentre gli edifici pubblici hanno continuato ad essere esclusi da qualsivoglia forma di ispezione.
A beneficiare di questo quadro legislativo e dello scarso controllo è stata anche la Toki, l’agenzia governativa per l’edilizia popolare diventata negli anni il simbolo della politica urbanistica del presidente. L’agenzia ha importanti connessioni con il settore privato e nel 2014 è stata coinvolta in uno scandalo di corruzione per aver ottenuto – presumibilmente dietro pagamento – i permessi per la costruzione di nuove case in tempi particolarmente rapidi.
Nonostante lo scandalo, la Toki ha mantenuto il suo potere e con molta probabilità si occuperà della realizzazione delle abitazioni per gli sfollati di quest’ultimo terremoto. Un progetto che, nei piani di Erdogan, deve essere portato a termine entro un anno.
Tasse e spesa pubblica
I condoni concessi fino ad oggi dal governo Erdogan hanno fatto arrivare milioni di lire nelle casse dello stato, ma dopo il sisma di Gaziantep sono sorte domande sulla gestione di questi fondi e sui soldi derivanti dalla tassa sul terremoto in vigore dal 1999. Negli ultimi anni il governo ha speso somme molto esigue in progetti di miglioramento urbano e nella risposta alle emergenze, arrivando a destinare a questo settore solo lo 0,5 per cento del Pil nel 2022. Nello stesso anno, i fondi destinati al ministero degli Affari religiosi o al sostegno delle politiche monetarie imposte da Erdogan sono stati largamente superiori.
Eppure i devastanti incendi del 2021 avevano messo in luce tutte le carenze del paese di fronte ai disastri naturali e portato il governo a promettere maggiori investimenti in questo specifico settore per evitare nuove tragedie. Due anni dopo, la macchina dei soccorsi non ha nuovamente funzionato come doveva, come denunciato dalle popolazioni colpite dal terremoto nonostante i tentativi di Erdogan di mettere a tacere le voci più critiche nei suoi confronti tramite un’apposita operazione di censura.
In un secondo momento il presidente ha ammesso almeno in parte le carenze nei soccorsi, ma ha puntato ben presto il dito contro alcuni imprenditori, accusandoli di non aver rispettato le norme anti sismiche. Con le elezioni alle porte, è importante per il presidente trovare un capro espiatorio e reagire il più prontamente possibile alla crisi per trasformare il terremoto in un’occasione per aumentare il proprio consenso politico.
Addossare le responsabilità contro i costruttori e gli appaltatori, però, comporta dei rischi. Il mondo dell’edilizia rappresenta da sempre la base elettorale di Erdogan e un atto di accusa così forte contro questa classe imprenditoriale può avere degli effetti negativi per il presidente.
D’altro canto far finta di non vedere le responsabilità dei costruttori non è un’opzione possibile. A fare il gioco di Erdogan potrebbe essere il connubio tra tempi della giustizia lunghi ed elezioni imminenti, ma il terremoto rischia seriamente di minare le possibilità di rielezione del leader dell’Akp.
Erdogan era riuscito ad arrivare al potere agli inizi del 2000 anche grazie alle ripercussioni politiche del sisma del 1999, ma - per una strana ironia della sorte - venti anni dopo lo stesso disastro naturale (e umano) rischia di mettere fine alla sua carriera.
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