Chi si aspettava fuochi d’artificio e polemiche è rimasto deluso. La prima uscita pubblica insieme di Matteo Salvini con il generale Roberto Vannacci, col pretesto di presentare il libro del segretario leghista Controvento, è stata decisamente sottotono: nessuna dichiarazione roboante, solo l’ecumenica conclusione di voler «costruire un’Europa migliore pensando alle mie figlie» da parte del neocandidato indipendente della Lega.

A lui è stato riservato un posto da capolista nei collegi Sud e Centro, come secondo nelle Isole e come ultimo e penultimo rispettivamente nei collegi Nord-ovest e Nord-est.

Eppure al tempio di Adriano a Roma si era radunato il pubblico delle grandi occasioni, composto principalmente di giornalisti – «mi dicono che vi siete accreditati in 108», ha gongolato il vicepremier – mentre in platea le facce amiche si sono contate sulle dita di due mani: presente in prima fila il vicesegretario Andrea Crippa con Laura Ravetto, poi Simonetta Matone con Antonio Angelucci, dietro le quinte un sorridente Claudio Durigon, mentre nelle retrovie si sono fatti notare Gianluca Cantalamessa e Claudio Borghi, anche lui candidato alle europee.

Tra i ministri, l’unico a presentarsi è stato Giuseppe Valditara, seduto accanto all’europarlamentare uscente Antonio Rinaldi. In sala, schiacciati tra i fotografi, anche militanti della Lega ed elettori del generale: «In passato ho votato a destra. Per la Lega mai e nemmeno questa volta lo avrei fatto, ma vengo dalla carriera militare, mi sento un conservatore e quindi a Vannacci il mio voto lo darò», spiega un pacato signore dall’accento romano.

Esattamente l’effetto in cui Salvini spera candidando Vannacci in tutti i collegi, con l’obiettivo di raccimolare un punto percentuale e far scattare «uno o due seggi in più», spiega un leghista in sala.

patria e sicurezza

Chi si aspettava l’ennesima boutade di Vannacci - oppure anche una spiegazione dopo le parole sui disabili in classi separate pronunciate nell’intervista su la Stampa («imparate a leggere», ha risposto a margine ai giornalisti) – è rimasto deluso. Il generale in un impeccabile completo blu con cravatta è sembrato la copia moderata di se stesso. Ha rispolverato sì una parte dell’armamentario del suo bestseller Il mondo al contrario, ma si è concentrato soprattutto sulle radici europee: «Stanno cercando di togliere tutti i simboli identitari. Non ci piace un'Europa in cui tutti siamo paccottiglia, ci piace un'Europa forte, che ci faccia sentire di essere fieri e che vale la pena di morire per l'Italia e per l'Europa».

Poi un accenno alla «cultura woke e la cancel culture, che vogliono farci vergognare di quello che hanno fatto i nostri nonni e i nostri padri», l’attacco alla «società multiculturale che è contro l’idea stessa di patria» e una linea politica sintetizzabile con «patria, confini, sicurezza e sovranità nazionale».

L’unico passaggio davvero politico, ma decisamente sottotono rispetto al suo solito, ha riguardato i migranti: «Quanti ne potrà accettare l’Europa? A un certo punto dovranno essere presi dei provvedimenti volti a limitare questo flusso incontrollato. Si può fare, si deve fare, soprattutto se vogliamo un futuro sempre più ricco e che garantisca l'identità europea». 

Niente di più, niente di meno. Nessuna domanda e nemmeno un accenno ai temi che più hanno caratterizzato i suoi interventi, come le questioni etniche e i diritti civili, nè alle polemiche con l’esercito o alle sue intenzioni future.

Dopo i primi giorni di fuoco e fiamme, quindi, quella offerta insieme a Salvini è stata una versione soft del generale, che avrebbe ricevuto il consiglio di abbassare almeno temporaneamente i toni per evitare ulteriori frizioni con i dirigenti leghisti che da lui già hanno preso le distanze. Proprio quella di normalizzare Vannacci è sembrata anche la linea del vicepremier, che ha ironizzato sull'«inorridimento di certa sinistra per questa accoppiata luciferina nella stessa sala» e ha tenuto una posa difensiva rispetto ai soliti toni.

Salvini sulla difensiva

Il segretario leghista, infatti, ha spiegato di aver candidato Vannacci dopo aver visto «l’accanimento mediatico» contro di lui, «e per me la libertà viene prima di tutto, non sopporto i bavagli e le ipocrisie». É «grazie al razzismo di sinistra che il generale è candidato con noi», ma ci siamo trovati «in sintonia sia culturalmente che personalmente», ha concluso.

Poi ha ripetuto quasi stancamente i suoi cavalli di battaglia degli ultimi mesi: contro Bruxelles «tempio del politicamente corretto, dei bagni gender e dei bambini oggetto» e contro le norme «demenziali e autolesioniste» su case e auto green. Invece «la casa è sacra e guai a chi la tocca», anzi il vicepremier ha annunciato una nuova sanatoria entro maggio, per «regolarizzare le piccole irregolarità domestiche».

Infine sui migranti, ma soprattutto sul processo Open Arms, Salvini ha lanciato un avvertimento soprattutto agli alleati: «Se mi condannano, chi crede che io demorda ha trovato la persona sbagliata». Tradotto, nessuno si aspetti dimissioni.

Gli unici accenni polemici, pur se velati, sono stati riservati a Meloni, a cui Salvini ha voluto far sapere che «le elezioni non avranno la minima influenza sul governo e sulle nomine», allontanando di fatto ipotesi di rimpasti e di ribilanciamenti anche nel caso del sorpasso di Forza Italia. E ancora, «spero che nessuno nel centrodestra preferisca Macron alla Le Pen, farebbe un danno agli italiani».

Si chiude così il tempo del dibattito ma anche dell’effetto novità di Vannacci candidato: partito in accelerazione ora sembra aver tirato il freno a mano. Tuttavia dovrà correre una campagna elettorale portandosi addosso il peso di essere la scommessa personale di Salvini per salvare la Lega dal tonfo sotto l’8 per cento.

Anche per questo la conclusione di Salvini secondo cui il voto europeo «ci riserverà sorprese» è suonato più come una speranza che come una convinzione.

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