«Vogliamo far vedere a Netanyahu che se vuole distruggere la democrazia, allora non avrà pace né in Israele né all’estero, non può fuggire dalle manifestazioni», dice il quarantaseienne Itamar Danieli, uno degli israeliani residenti in Italia che sta organizzando una protesta contro il primo ministro israeliano durante la sua visita a Roma fra giovedì e sabato sera.

«Ci sarà un sit-in all’aeroporto di Tel Aviv nel momento della sua partenza, mentre noi ci diamo appuntamento alle 15 a piazza Santi Apostoli questo venerdì. Abbiamo già centinaia di adesioni», dice.

È un Netanyahu sotto assedio quello che approda in Italia per un incontro con la premier Giorgia Meloni: al punto che i critici in patria derubricano il viaggio come un diversivo, senza questioni davvero urgenti sul tavolo.

La riforma del sistema giudiziario proposta dalla maggioranza da lui presieduta svuoterebbe di poteri la Corte suprema, garante di diritti, principi liberali e minoranze in Israele. L’iniziativa ha provocato un’ondata di agitazioni che continuano, in maniera crescente, ormai da oltre due mesi.

Con una maggioranza semplice in parlamento il governo potrebbe scavalcare la corte e approvare norme che contraddicono le leggi di base, le più importanti nello stato ebraico, che non ha una costituzione, o addirittura modificarle.

I detrattori bollano la riforma “golpe”, denunciano i propositi illiberali degli alleati ultraortodossi e oltranzisti di destra, e accusano Netanyahu di volersi districare dai suoi processi per corruzione. Lui, che una volta era un difensore dell’indipendenza della magistratura, ora avallerebbe invece la fine della separazione dei poteri.

Isolamento internazionale

Il viaggio a Roma si iscrive in un contesto di inusuale isolamento internazionale per Netanyahu. La riforma del sistema giudiziario e la ribalta dei ministri oltranzisti Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich – di cui fanno le spese civili palestinesi innocenti nei territori, si veda il pogrom dei coloni presso la cittadina di Hawara la scorsa domenica 26 febbraio – limitano il suo raggio d’azione sul piano diplomatico.

Spiega Yigal Palmor, ex portavoce del ministero degli Esteri israeliano: «Nessuno lo sta invitando. Ogni primo ministro normalmente viene invitato a Washington dopo l’insediamento, ma la Casa Bianca è rimasta in silenzio. Un viaggio a Dubai negli Emirati è saltato in seguito alla passeggiata provocatoria di Ben Gvir sulla spianata delle moschee. La visita a Parigi è stata “magra”, nel senso che Macron non ha voluto nemmeno una conferenza stampa congiunta e ha fatto trapelare nei media le sue critiche alla riforma costituzionale».

Continua sempre Palmor: «L’ambasciatrice si era dimessa proprio per protesta contro il nuovo governo. Buona parte del viaggio è stato organizzato informalmente da Meyer Habib, uomo d’affari e politico poco trasparente, da sempre uomo di Bibi a Parigi».

Anche a Roma si preannuncia la presenza di un consigliere di viaggio non istituzionale: è Dror Eydar, catapultato da Netanyahu a Roma come ambasciatore nel 2019, direttamente dalle pagine del “suo” tabloid Israel Haiom dove gestiva le pagine d’opinione. Il suo mandato è terminato nel 2022, ma accompagnerà lo stesso Netanyahu a Roma.

Il viaggio in Italia

Anche il viaggio in Italia, insomma, si preannuncia accidentato. La vigilia è stata segnata dal fuggi fuggi senza precedenti dei piloti della compagnia nazionale El Al: nessuno si è fatto avanti per portare Bibi e la moglie Sarah a Roma.

In generale la competizione per viaggi di questo tipo è serrata, poiché accompagnare un premier all’estero conferisce prestigio e pubblicità nel settore. Invece questa volta è stato necessario declassare la tipologia di velivolo – passando da un Boeing 777 a un Boeing 737 – per trovare un candidato abilitato.

La causa è proprio il diffondersi del dissenso nella società civile: oltre ai piloti civili, anche i riservisti dell’aeronautica militare hanno minacciato di non servire nell’esercito nel caso la riforma venisse passata.

In Italia Netanyahu trova una Meloni ansiosa di riaffermare la propria vicinanza a Israele per schivare le critiche legate ai trascorsi nel Msi e alle sue esternazioni di gioventù in favore di Benito Mussolini, dopo la luna di miele con il nazionalista indiano Narendra Modi.

Pochi mesi prima della sua vittoria alle elezioni aveva dimostrato di volersi accreditare presso l’ambasciata israeliana partecipando ad un evento a Roma per il centenario della nascita di Yitzhak Rabin: presenti tanti politici delle destre, da Matteo Salvini a Maurizio Gasparri, da Giancarlo Giorgetti a Renato Brunetta, mentre di sinistra c’erano quasi solo rappresentanti istituzionali.

Nella sua autobiografia Io sono Giorgia, Meloni teneva a mettere in chiaro la sua indignazione per le leggi razziali e il suo appoggio a Israele, seppur definendo “fredda” la struttura museale di Yad Vashem ed enfatizzando il ruolo degli ebrei nell’ascesa del fascismo in Italia.

Da parte sua Netanyahu, nella recente autobiografia intitolata Bibi, storia della mia vita, dedica poco spazio all’Italia, anche se descrive Roma come una destinazione a cui è affezionato.

L’unico personaggio a trovare spazio è Silvio Berlusconi, considerato da Netanyahu un sincero amico di Israele. Racconta un aneddoto in cui Berlusconi gli chiede come facesse a vincere le elezioni senza avere media al proprio servizio, oltre a citare una sua battuta sulle donne: «Hanno pubblicato un sondaggio in cui si chiedeva alle donne italiane: hai dormito con Silvio Berlusconi?», avrebbe detto durante una visita di Netanyahu nel 2009. «Il 36% ha risposto di sì, il resto ha risposto con una domanda: “Solo una volta?”».

L’incognita della riforma

Ad accogliere Netanyahu in Israele al suo ritorno, sabato sera, ci sarà l’ennesima manifestazione contro la riforma del sistema giudiziario, contro l’indebolimento della corte suprema e la politicizzazione della nomina dei giudici.

Con le prime fughe di capitali, lo shekel che si indebolisce rispetto al dollaro e l’estendersi della protesta, Bibi dovrà prendere decisioni difficili. Accetterà una mediazione del presidente Herzog, a rischio di far implodere la propria alleanza? Andrà avanti forte della maggioranza parlamentare, rischiando di provocare proteste ancora più dure? Per il momento preferisce rinviare queste decisioni: se ne riparla dopo il soggiorno romano.

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