E così Giorgia Meloni «alza la posta». «Siamo di fronte a un bivio che non consente sbagli – dice – né di tirarsi indietro». Da Pescara, alla “Conferenza programmatica” di Fratelli d’Italia, la premier annuncia quel che da mesi era nell’aria: «Ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni elettorali. Tutti devono fare la loro parte e io intendo fare la mia», dice all’ultimo fiato del suo intervento durato più di un’ora. «Se sopravvivo», aggiunge, dopo essersi più volte sfogata con la platea per i problemi di salute e i ritmi di lavoro indefessi.

Intanto in prima fila, tra i maggiorenti del partito, si parla dello scoop di Domani e del giallo degli 007, tanto che a fine giornata arriva una dichiarazione del sottosegretario con delega ai servizi Alfredo Mantovano. La premier si cuce addosso il vestito di patriota sola al comando: «Ma sulla scheda vi prego scrivete Giorgia, niente formalismi, nessuna distanza». La premier del premierato diventa anche la candidata del plebiscito, nell’incredulità di chi per l’Europarlamento si è candidato davvero.

«Meloni in lista senza alcuna intenzione di fare l’eurodeputata? Ma questo è ingannare gli elettori!», dice a Domani la liberale olandese Sophie in’t Veld, eurodeputata nota come difensora dello stato di diritto. «È una candidatura fake, che trasforma i Fratelli in un partito personalistico, La Sorella». In quello che è a tutti gli effetti un comizio per giugno, Meloni pratica la stessa vecchia tattica dei populismi di destra: personalizza la competizione, si presenta come la portatrice dei voleri popolari – «Io sono e resterò una persona del popolo» – e costruisce nemici immaginari.

Melonizzare l’Ue

Meloni punta all’en plein. Ricorda «che nel 2014 alle europee non avevamo superato la soglia di sbarramento», il 2019 «è stato lo spartiacque», il 2022 il momento in cui «noi patrioti e conservatori siamo diventati primo partito in Italia». «Non per fortuna ma per ostinazione». Ora punta a «cambiare l’Europa». Vuole spostare gli equilibri e così spiega il «rifiuto di negoziare nomine prima del voto». La scommessa acchiappa voti di «Giorgia» in lista serve a questo. «Quando si dice: “Non ci hanno visti arrivare!», dice citando alla rovescia uno slogan della dem Elly Schlein. L’obiettivo finale meloniano è «esportare in Ue il modello italiano»: significa «costruire anche al Parlamento Ue una maggioranza di centrodestra», non più «maggioranze innaturali in cui il Ppe debba assecondare l’agenda progressista».

Meloni sta realizzando un piano duplice e a due fasi. Nel mandato che volge al termine, la leader ha ottenuto la normalizzazione della sua estrema destra battezzando l’alleanza tattica col Ppe. Ciò ha portato alla rottura ufficiale del cordone sanitario nel gennaio 2022 con l’elezione all’Europarlamento di un vicepresidente conservatore; in quel caso, Ecr ha di fatto votato assieme ai socialisti, e viceversa. Da premier «sono stata pronta a dare una mano per poi pretendere aiuti quando necessario»: la frase descrive bene i rapporti con Ursula von der Leyen. Per integrarsi nel sistema, Meloni si è presentata – e tuttora si presenta – come «pragmatica e dialogante, l’unica capace di dialogare con tutti». Qui allude a Viktor Orbán, che lei sostiene di aver ricondotto a ragione nei recenti vertici europei. Ma per la legislatura che viene – altro che «dialogare con tutte le famiglie politiche» – si definisce «incompatibile senza mezze misure» con «la sinistra: la manderemo all’opposizione anche in Ue».

Nemici veri e presunti

Mentre rivendica quel che ha fatto il Movimento Sociale Italiano – «non fu l’Msi ma i comunisti a non sostenere i trattati di Roma, e poi ci parlate di europeismo!» – Meloni evoca e costruisce fantasmi e nemici. Dal palco, questa domenica la premier ha anche attaccato più volte i giornalisti del servizio pubblico per l’inchiesta sui cpr in Albania: «Aiutatemi a mandare a Edi Rama la nostra nostra solidarietà perché è stato linciato».

Lontano dal palco, a tenere banco c'era l'inchiesta di Domani: i sospetti su quella strana “visita” all'auto dell'ex partner della premier di Meloni, Andrea Giambruno, hanno animato il confronto tra i maggiorenti del partito. Nella cerchia riservata, a partire proprio da Meloni, tutti sperano che il caso, rivelato dal nostro giornale, possa chiudersi con l'esito meno nefasto: spera che i due ficcanaso fossero soltanto due improvvidi ricettatori. «E se non fosse così? Perché sono stati spostati d’improvviso due agenti all’Aise?», si chiedono dalle parti di palazzo Chigi.

Interrogativi che contribuiscono a mantenere la premier in stato d'allerta e che la spingono a descriversi come sotto assedio. «Sto facendo del mio meglio ma è come se fossi in un otto volante, questa cosa dell’orecchio mi fa venire le vertigini, se sbando non vi preoccupate, ce la faccio». La premier invoca affetto e tanti «Giorgia» sulla scheda: «Datemi del tu, senza distanze. Questo ruolo difficile, potere e palazzo non mi cambieranno né isoleranno». Ma i quesiti che preoccupano lei e la sua cerchia ristretta non sfumano.

Mantovano su Giambruno

Il mistero sui due uomini che nella notte tra il 30 novembre e il 1 dicembre hanno trafficato, secondo una relazione della Digos, vicino la macchina dell’ex compagno della premier non è infatti ancora risolto. Chi erano? A rendere più inquietante il quadro, sul quale indaga la procura di Roma con il procuratore Francesco Lo Voi che ha verificato incroci e contatti telefonici, è stato l'avvio di un'indagine da parte dei servizi segreti. A occuparsene il gruppo guidato da Giuseppe Del Deo, vicedirettore vicinissimo alla premier. All'inizio sono stati individuati due presunti responsabili, appartenenti proprio all'Aisi e in forza al gruppo scorte di Meloni. La notizia ha generato, e i due sono stati così trasferiti all'Aise, i servizi segreti esteri guidati da Giovanni Caravelli. Siamo a metà dicembre 2023. Il colpo di scena è arrivato due mesi dopo quando l'Aisi che ha fatto marcia indietro: le verifiche avrebbero scagionato i due. E ora? Oggi l'ipotesi più accreditata è che possa essersi trattato di due ricettatori.

Sulla vicenda, a fine serata, è intervenuto anche il sottosegretario Mantovano con una nota nella quale conferma i fatti, dice di averne riferito in un’audizione davanti al Copasir, e aggiunge un elemento. Quel giorno Meloni era all’estero, un particolare non trascurabile perché probabilmente la scorta non era sotto casa ma con lei. Al momento la vicenda ha favorito la nomina di Bruno Valensise a direttore dell’Aisi e aumentato le accortezze della premier.

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