All’appello dei discoli rispondono quasi tutti presenti, in un Consiglio dei ministri che sembra sempre più una classe di alunni indisciplinati. E che fanno infuriare la prima della classe, che risponde al nome di Giorgia Meloni. Tra riforme Godot, come quella sulla Giustizia, e sgrammaticature – nel vero senso della parola – del ministro dell’Istruzione, si allunga giorno dopo giorno la lista di situazioni sgradevoli, che portano i vertici di Palazzo Chigi sull’orlo di una crisi di nervi. Una delle ultime è del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che, in un video, ha “spostato” Times Square a Londra. Proprio mentre era finito al centro dell’affaire-Geppi Cucciari, la presentatrice silurata dalla presentazione dei David di Donatello. Qualcuno maligna che è avvenuto per la battuta fatta al ministro al Premio Strega (sui libri dei finalisti non letti). Sangiuliano garantisce che non c’è stata alcuna epurazione. In ogni caso l’ex direttore del Tg2 è uno degli untouchables dell’esecutivo, resterà in sella fino a che lo vorrà.

La spia del grafico dell’imbarazzo è sul rosso fisso. Si fanno un po’ di conti su un possibile rimpasto post Europee. Meloni sta analizzando con l’inner circle i costi e i benefici dei cambi in corsa, rispetto al rapporto con gli alleati Lega e Forza Italia. «Se potesse farlo senza conseguenze, avrebbe cambiato mezzo governo», è la battuta consegnata da una fonte della maggioranza. Solo che non tutti sono il Pozzolo di turno, scaricabili durante una conferenza stampa.

Verdi di rabbia

Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, è in pole position nella griglia degli indifendibili. Non è né ambientalista né una “sicurezza” sulle politiche energetiche. Le sue quotazioni sono in ribasso da mesi. Del resto, già quando Silvio Berlusconi lo indicò in quella casella, il nome del ministro fu accolto con un’alzata di spalle. Il tentativo di riaccreditarsi non è stato uno straripante successo, per usare un eufemismo. Ha presidiato la Camera durante le votazioni delle mozioni di sfiducia su Santanchè e Salvini nelle scorse settimane. Era l’unico rappresentante governativo di Forza Italia, una vicinanza di fatto agli alleati. Troppo poco per una riabilitazione effettiva.

Dai vertici di Fratelli d’Italia si guarda con un certo sgomento alla sua evanescenza. Si fa fatica a trattenere il pentimento per non avergli sottratto la delega sull’energia, vecchio pallino meloniano. Sul punto c’è il convinto assenso di Salvini. Non è un mistero che il leader della Lega voglia essere il vero “ministro del nucleare”, l’uomo che riapre le centrali. Pichetto Fratin sta cercando di prendersi la scena, per quanto possibile, sfruttando quelle che sono le sue deleghe. Ma non è solo una questione di atomi. Il problema è principalmente made in Europe con un ministro che stenta a portare le istanze governative contro «l’ambientalismo ideologico», come vengono definite dalla destra le politiche dell’Ue sulla transizione energetica. Il percorso che ha portato al via libera alla direttiva sulle case green, per quanto depotenziata, è indigeribile per Meloni e i suoi Fratelli, soprattutto in vista delle Europee. La premier ha vissuto male la gestione della vicenda, avrebbe preferito una strategia più incisiva.

Valditara Communication

Pichetto Fratin è in buona compagnia. La concorrenza è folta e agguerrita. Al ministero dell’Istruzione spicca Giuseppe Valditara, che a ogni passaggio pubblico fa sudare le proverbiali sette camicie ai vertici del governo. Solo che Valditara è beneficiario della protezione politica di Salvini. I colleghi hanno sgranato gli occhi di fronte all’italiano stentato del post sui social, in cui aveva difeso la necessità di un tetto di stranieri nelle classi.

«Se si è d'accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l'italiano laddove già non lo conoscano bene», l’incipit da horror. Sembrava un materiale ideato per i meme sui social. Invece era realtà. L’idea era già di per sé divisiva (molti alleati l’hanno bocciata) e aggravata da un’uscita così sgrammaticata. Così dall’umiliazione come un valore, in poi è stata un’escalation di imbarazzi sulle esternazioni del ministro.

Valditara è convinto che le responsabilità degli errori risiedano altrove, all’interno dello staff. Giuseppe Braga è andato via dal ruolo di capo ufficio stampa. Un divorzio consensuale, si apprende. Al suo posto è arrivata Claudia Marin, già firma politica del Quotidiano nazionale e con un passato da capo ufficio stampa dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Agli atti è stato dunque consegnato il cambio totale alla comunicazione: dopo il portavoce, con Francesco Albertario al posto di Giovanni Sallusti, l’avvicendamento all’ufficio stampa con l’approdo di Marin. Cristallizzata però la regia politica, affidata a Stefano Bolognini, emanazione di Salvini e ministro-ombra nel vero senso della parola: segue ogni passo di Valditara. E ne impone la linea fino a mettere bocca sulla gestione dei social media.

Un’altra ministra che provoca un mix di frustrazione e irritazione è Elisabetta Alberti Casellati. Dentro FdI allargano sconsolati le braccia di fronte al modus operandi dell’ex presidente del Senato sulla materia del premierato. Per questo è commissariata da Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama e profilo di fiducia di Meloni.

«Casellati è più attenta all’immagine che alla sostanza», la sintesi che viene consegnata a Domani da fonti di maggioranza. Anche sulla partita della legge elettorale, che dal punto di vista istituzionale spetta al parlamento, dovrebbe prendere il pallino in mano. E provare a dettare i tempi alla maggioranza per darsi una mossa. Invece getta la palla in avanti. Il sistema elettorale? Si vedrà. Meloni è stufa. E ha riesumato l’antico sogno presidenzialista, seppure esposto in rare occasioni.

Fratelli di errori

Ma le colpe non sono sempre degli alleati di FdI. I problemi sono in casa, nel partito. Basti pensare ad Adolfo Urso, a cui è stato affidato l’apparato del ministero delle Imprese con il fiore all’occhiello del Made in Italy. All’insegna dell’apparenza prima di tutto, ha varato la legge sul Made in Italy, rivendicando oltre un miliardo di euro di stanziamento. Il testo è passato a fine dicembre, ma dopo oltre tre mesi è lettera morta. Mancano 34 decreti attuativi su 36. Le risorse sono impantanate. E per non farsi mancare nulla, mentre Urso criticava Stellantis per la produzione di un’auto, ribattezzata Milano, fuori dall’Italia Dagospia ha svelato che lo stesso ministro nel garage ha due vetture straniere: una tedesca e un’altra giapponese.

Meloni sta pagando poi il prezzo a una scelta personale: la nomina di Carlo Nordio a Guardasigilli. Gli scivoloni sono all’ordine del giorno, l’ex magistrato ha avuto addirittura l’ardire di denunciare una scarsa attenzione economica del governo verso il suo ministero. Costringendo a una frettolosa rettifica all’insegna del «sono stato travisato».

Dalle parti di FdI fanno a gara a silenziarlo. Un esempio? Lo stop imposto alla partecipazione del ministro alla Leopolda di Matteo Renzi. Fioccano le incomprensioni, i non detti. C’è un problema alla radice: la premier non può scaricare un nome che aveva proposto come candidato di bandiera per il Quirinale quando è stato eletto per la seconda volta Sergio Mattarella. Largo Arenula sembra maledetta per FdI. Come sottosegretario alla Giustizia c’è Andrea Delmastro, l’uomo che sussurrava i segreti su Cospito, finendo sotto inchiesta, e che la notte di Capodanno era nel posto peggiore. Insieme a Pozzolo. Solo che il fedelissimo della premier, per cui è stato legale di fiducia, è difeso anche quando sembrerebbe indifendibile.


Diritto di replica – avvocato Alessandro Paone

Rappresento il professore Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, dal quale ho ricevuto mandato di intervenire in relazione a quanto segue. Nel testo di questo articolo compaiono in più punti riferimenti espliciti al professore Valditara, afferenti fatti non veritieri con finalità evidentemente diffamatorie a mezzo stampa, e segnatamente:

  • l’affermazione “sgrammaticature – nel vero senso della parola – del ministro Valditara”
  • al paragrafo titolato “Valditara Communication”, una sequela di attacchi che qui per semplicità si richiamano facendo riferimento direttamente al corpo del testo, nei quali si afferma dapprima “[…] di fronte all’italiano stentato del post sui social, in cui aveva difeso la necessità di un tetto di stranieri nelle classi. […]”. E poi ancora “[…] aggravata da un’uscita così sgrammaticata […]”
  • per finire, la didascalia posta di fianco all’immagine del professore Valditara a tutta pagina “L’ultimo caso per Valditara: la forma sgangherata di un post sui social nel quale difendeva la necessità di n tetto agli stranieri nelle classi a scuola”.

Sul punto, valga anzitutto precisare, che il post pubblicato sui social in data 27 marzo è tutt’altro che “sgrammaticato” e contro di esso non è possibile muovere alcuna censura linguistica del pari di quelle formulate nell’articolo da Voi pubblicato. Tanto hanno osservato puntualmente, tra gli altri, il professore Giovanni Gobber dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (ordinario di Glottologia e linguistica, insegna Linguistica generale, Linguistica storica e Teoria e tecnica della traduzione nella Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere) nonché il linguista Massimo Arcangeli, docente alla facoltà di Lettere dell'università di Cagliari (ordinario di Linguistica italiana e Sociologia dei processi culturali e comunicativi).

Il primo ha sostenuto che «… in questo periodo non vi sono “sgrammaticature”. Per certo, la comprensione di un testo caratterizzato da una serie di strutture ipotattiche richiede competenze grammaticali avanzate». Il secondo, «Potrà magari non piacere l'alternanza col futuro ("se studieranno", "se i genitori saranno coinvolti", "se non vivranno"), ma quel congiuntivo, in cui il "se" ha valore di "qualora, a condizione che", pertiene a un valore semantico che un linguista definirebbe di "iteratività generalizzante". Non è un caso che l'uso del "se" in questo preciso significato riscontri un particolare favore nel campo del diritto», addirittura concludendo nel senso che «l'ignoranza non è né di destra né di sinistra, e quando un politico o un giornalista "ignori" (o "ignora", fate voi) qualcosa su cui non ha sufficiente competenza - o non ce l'ha proprio - dovrebbe fare lo sforzo di richiedere il parere di un esperto prima di prodursi in sciocchezze o in sproloqui».

Tanto è stato puntualmente riportato dagli organi di stampa nazionale, con articolo pubblicato sul Corriere della Sera in data 8 aprile scorso a quanto consta, fonte deliberatamente ignorata con l’effetto di riportare, con malizia, una notizia non vera e tendenziosa. In ragione di quanto sopra, si richiede immediata rettifica di quanto pubblicato, con evidenza della correttezza di quanto scritto a firma del professore Valditara in data 27 marzo u.s. sui social, all’evidenza niente affatto scorretto sul piano della forma e della correttezza linguistica, tale da meritare il dovuto chiarimento finalizzato a riportare la discussione nell’alveo di verità che l’argomento merita.

Nell’attesa, e ferma ogni più ampia riserva di azione, si inviano distinti saluti.


Risponde Stefano Iannaccone:

Prendo atto della precisazione e non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.

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